Cari Componenti del Tribunale della Rota Romana!
Sono lieto di incontrarvi ancora una volta per l'inaugurazione dell'Anno Giudiziario. Saluto cordialmente il Collegio dei Prelati Uditori, ad iniziare dal Decano, Mons. Antoni Stankiewicz, che ringrazio per le parole che mi ha rivolto a nome dei presenti. Estendo il mio saluto ai Promotori di Giustizia, ai Difensori del Vincolo, agli altri Officiali, agli Avvocati e a tutti i Collaboratori di codesto Tribunale Apostolico, come pure ai Membri dello Studio Rotale. Colgo volentieri l'occasione per rinnovarvi l'espressione della mia profonda stima e della mia sincera gratitudine per il vostro ministero ecclesiale, ribadendo, allo stesso tempo, la necessità della vostra attività giudiziaria. Il prezioso lavoro che i Prelati Uditori sono chiamati a svolgere con diligenza, a nome e per mandato di questa Sede Apostolica, è sostenuto dalle autorevoli e consolidate tradizioni di codesto Tribunale, al cui rispetto ciascuno di voi deve sentirsi personalmente impegnato.
Oggi desidero soffermarmi sul nucleo essenziale del vostro ministero, cercando di approfondirne i rapporti con la giustizia, la carità e la verità. Farò riferimento soprattutto ad alcune considerazioni esposte nell'Enciclica Caritas in veritate, le quali, pur essendo considerate nel contesto della dottrina sociale della Chiesa, possono illuminare anche altri ambiti ecclesiali. Occorre prendere atto della diffusa e radicata tendenza, anche se non sempre manifesta, che porta a contrapporre la giustizia alla carità, quasi che una escluda l'altra. In questa linea, riferendosi più specificamente alla vita della Chiesa, alcuni ritengono che la carità pastorale potrebbe giustificare ogni passo verso la dichiarazione della nullità del vincol o matrimoniale per venire incontro alle persone che si trovano in situazione matrimoniale irregolare. La stessa verità, pur invocata a parole, tenderebbe così ad essere vista in un'ottica strumentale, che l'adatterebbe di volta in volta alle diverse esigenze che si presentano.
Partendo dall'espressione "amministrazione della giustizia", vorrei ricordare innanzitutto che il vostro ministero è essenzialmente opera di giustizia: una virtù - "che consiste nella costante e ferma volontà di dare a Dio e al prossimo ciò che è loro dovuto" (CCC, n. 1807) - della quale è quanto mai importante riscoprire il valore umano e cristiano, anche all'interno della Chiesa. Il Diritto Canonico, a volte, è sottovalutato, come se esso fosse un mero strumento tecnico al servizio di qualsiasi interesse soggettivo, anche non fondato sulla verità. Occorre invece che tale Diritto venga sempre considerato nel suo rapporto essenziale con la giustizia, nella consapevolezza che nella Chiesa l'attività giuridica ha come fine la salvezza delle anime e "costituisce una peculiare parteci pazione alla missione di Cristo Pastore... nell'attualizzare l'ordine voluto dallo stesso Cristo" (Giovanni Paolo II, Allocuzione alla Rota Romana, 18 gennaio 1990, in AAS 82 [1990], p. 874, n.4). In questa prospettiva è da tenere presente, qualunque sia la situazione, che il processo e la sentenza sono legati in modo fondamentale alla giustizia e si pongono al suo servizio. Il processo e la sentenza hanno una grande rilevanza sia per le parti, sia per l'intera compagine ecclesiale e ciò acquista un valore del tutto singolare quando si tratta di pronunciarsi sulla nullità di un matrimonio, il quale riguarda direttamente il bene umano e soprannaturale dei coniugi, nonché il bene pubblico della Chiesa. Oltre a questa dimensione che potremmo definire "oggettiva" della giustizia, ne esiste un'altra, inseparabile da essa, che riguarda gli "operatori del diritto", colo ro, cioè, che la rendono possibile. Vorrei sottolineare come essi devono essere caratterizzati da un alto esercizio delle virtù umane e cristiane, in particolare della prudenza e della giustizia, ma anche della fortezza. Quest'ultima diventa più rilevante quando l'ingiustizia appare la via più facile da seguire, in quanto implica accondiscendenza ai desideri e alle aspettative delle parti, oppure ai condizionamenti dell'ambiente sociale. In tale contesto, il giudice che desidera essere giusto e vuole adeguarsi al paradigma classico della "giustizia vivente" (cfr Aristotele, Etica nicomachea, V, 1132a), sperimenta la grave responsabilità davanti a Dio e agli uomini della sua funzione, che include altresì la dovuta tempestività in ogni fase del processo: « quam primum, salva iustitia» (Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, Instr. Dignitas connubii, art. 72). Tutti coloro che operano nel campo del Diritto, ognuno secondo la propria funzione, devono essere guidati dalla giustizia. Penso in particolare agli avvocati, i quali devono non soltanto porre ogni attenzione al rispetto della verità delle prove, ma anche evitare con cura di assumere, come legal i di fiducia, il patrocinio di cause che, secondo la loro coscienza, non siano oggettivamente sostenibili.
L'azione, poi, di chi amministra la giustizia non può prescindere dalla carità. L'amore verso Dio e verso il prossimo deve informare ogni attività, anche quella apparentemente più tecnica e burocratica. Lo sguardo e la misura della carità aiuterà a non dimenticare che si è sempre davanti a persone segnate da problemi e da sofferenze. Anche nell'ambito specifico del servizio di operatori della giustizia vale il principio secondo cui "la carità eccede la giustizia" (Enc. Caritas in veritate, n. 6). Di conseguenza, l'approccio alle persone, pur avendo una sua specifica modalità legata al processo, deve calarsi nel caso concreto per facilitare alle parti, mediante la delicatezza e la sollecitudine, il contatto con il competente tribunale. In pari tem po, è importante adoperarsi fattivamente ogni qualvolta si intraveda una speranza di buon esito, per indurre i coniugi a convalidare eventualmente il matrimonio e a ristabilire la convivenza coniugale (cfr CIC, can. 1676). Non va, inoltre, tralasciato lo sforzo di instaurare tra le parti un clima di disponibilità umana e cristiana, fondata sulla ricerca della verità (cfr Instr. Dignitas connubii, art. 65 §§ 2-3).
Tuttavia occorre ribadire che ogni opera di autentica carità comprende il riferimento indispensabile alla giustizia, tanto più nel nostro caso. "L'amore - «caritas» - è una forza straordinaria, che spinge le persone a impegnarsi con coraggio e generosità nel campo della giustizia e della pace" (Enc. Caritas in veritate, n. 1). "Chi ama con carità gli altri è anzitutto giusto verso di loro. Non solo la giustizia non è estranea alla carità, non solo non è una via alternativa o parallela alla carità: la giustizia è «inseparabile dalla carità», intrinseca ad essa" (Ibid., n. 6). La carità senza giustizia non è tale, ma soltanto una contraf fazione, perché la stessa carità richiede quella oggettività tipica della giustizia, che non va confusa con disumana freddezza. A tale riguardo, come ebbe ad affermare il mio Predecessore, il venerabile Giovanni Paolo II, nell'allocuzione dedicata ai rapporti tra pastorale e diritto: "Il giudice [...] deve sempre guardarsi dal rischio di una malintesa compassione che scadrebbe in sentimentalismo, solo apparentemente pastorale" (18 gennaio 1990, in AAS, 82 [1990], p. 875, n. 5).
Occorre rifuggire da richiami pseudopastorali che situano le questioni su un piano meramente orizzontale, in cui ciò che conta è soddisfare le richieste soggettive per giungere ad ogni costo alla dichiarazione di nullità, al fine di poter superare, tra l'altro, gli ostacoli alla ricezione dei sacramenti della Penitenza e dell'Eucaristia. Il bene altissimo della riammissione alla Comunione eucaristica dopo la riconciliazione sacramentale, esige invece di considerare l'autentico bene delle persone, inscindibile dalla verità della loro situazione canonica. Sarebbe un bene fittizio, e una grave mancanza di giustizia e di amore, spianare loro comunque la strada verso la ricezione dei sacramenti, con il pericolo di farli vivere in contrasto oggettivo con la verità della propria condizione personale.
Circa la verità, nelle allocuzioni rivolte a codesto Tribunale Apostolico, nel 2006 e nel 2007, ho ribadito la possibilità di raggiungere la verità sull'essenza del matrimonio e sulla realtà di ogni situazione personale che viene sottoposta al giudizio del tribunale (28 gennaio 2006, in AAS 98 [2006], pp. 135-138; e 27 gennaio 2007, in AAS 99 [2007], pp. 86-91; come pure sulla verità nei processi matrimoniali (cfr Instr. Dignitas connubii, artt. 65 §§ 1-2, 95 § 1, 167, 177, 178). Vorrei oggi sottolineare come sia la giustizia, sia la carità, postulino l'amore alla verità e comportino essenzialmente la ri cerca del vero. In particolare, la carità rende il riferimento alla verità ancora più esigente. "Difendere la verità, proporla con umiltà e convinzione e testimoniarla nella vita sono pertanto forme esigenti e insostituibili di carità. Questa, infatti, «si compiace della verità» (1 Cor 13, 6)" (Enc. Caritas in veritate, n. 1). "Solo nella verità la carità risplende e può essere autenticamente vissuta [...]. Senza verità la carità scivola nel sentimentalismo. L'amore diventa un guscio vuoto, da riempire arbitrariamente. È il fatale rischio dell'amore in una cultura senza verità. Esso è preda delle emozioni e delle opinioni contingenti dei soggetti, una parola abusata e distorta, fino a significare il contrario" (Ibid., n. 3).
Bisogna tener presente che un simile svuotamento può verificarsi non solo nell'attività pratica del giudicare, ma anche nelle impostazioni teoriche, che tanto influiscono poi sui giudizi concreti. Il problema si pone quando viene più o meno oscurata la stessa essenza del matrimonio, radicata nella natura dell'uomo e della donna, che consente di esprimere giudizi oggettivi sul singolo matrimonio. In questo senso, la considerazione esistenziale, personalistica e relazionale dell'unione coniugale non può mai essere fatta a scapito dell'indissolubilità, essenziale proprietà che nel matrimonio cristiano consegue, con l'unità, una peculiare stabilità in ragione del sacramento (cfr CIC, can. 1056). Non va, altresì, dimenticato che il matrimonio gode del favore del diritto. Pertanto, in caso di dubbio, esso si deve intendere valido fino a che non sia stato provato il contrario (cfr CIC, can. 1060). Altrimenti, si corre il grave rischio di rimanere senza un punto di riferimento oggettivo per le pronunce circa la nullità, trasformando ogni difficoltà coniugale in un sintomo di mancata attuazione di un'unione il cui nucleo essenziale di giustizia - il vincolo indissolubile - viene di fatto negato.
Illustri Prelati Uditori, Officiali ed Avvocati, vi affido queste riflessioni, ben conoscendo lo spirito di fedeltà che vi anima e l'impegno che profondete nel dare attuazione piena alle norme della Chiesa, nella ricerca del vero bene del Popolo di Dio. A conforto della vostra preziosa attività, su ciascuno di voi e sul vostro quotidiano lavoro invoco la materna protezione di Maria Santissima Speculum iustitiae e imparto con affetto la Benedizione Apostolica.
Omaggio del Decano, mons. Antoni Stankiewicz
Beatissimo Padre,
con profonda gioia e filiale devozione desidero esprimere alla Santità Vostra, a nome dei Prelati Uditori, degli Officiali, degli Avvocati e dei Collaboratori del Tribunale della Rota Romana immensa gratitudine per la concessione di questa solenne Udienza che dà inizio al nuovo Anno Giudiziario del 2010. In ossequio alla plurisecolare tradizione rotaie relativa all'aperitio Rotae, ossia alla Rota iuramentorum, risalente alla celebre Cost. ap. Ratio iuris di Giovanni XXII del 1331 (Bullarium Romanum, vol. IV, pp. 317-323), abbiamo intrapreso I 'iter inaugurale con la celebrazione dell'Eucaristia, l'invocazione dello Spirito Santo e il giuramento defidelitate et oboedientia «Beato Petro et Domino Nostro Papae, eiusque legitimis Successoribus» nonché de munerefideliter ac diligenter adiniplendo. Ora nel momento più atteso dell'atto inaugurale ci siamo radunati attorno a Vol, Santo Padre, Supremo Giudice di tutti .i fedeli, al cui giudizio si può ricorrere in tutte le cause di competenza della giutisdizione ecclesiale (Conc. Vat. I, Cost. dogm. Pastor aeternùs, cap. 3; DS 3063), per sentire la Vostra sollicitudo omnium Eccìesiarum (2 (or 11, 28), per ascoltare le auguste parole riguardo al nostro munus iudicandi, che', per Vostro mandato espletiamo in modo vicario, e da esse trarre conforo per. poter adempierlo con rinnovato zelo e fedele impegno.
Questa fedeltà dell'impegno a beneficio della comunità ecclesiale richiama la nostra attenzione anzitutto alla dimensione intrinseca del ministerium iudicis, il quale, secondo la vigente normativa rotaie, è connesso con il sacerdozio ministeriale (art. 3, § 1 NRRT). Per questa ragione, trovandoc i nel corso dell'Anno Sacerdotale, indetto dalla Santità Vostra, la dimensione spirituale del nostro sacerdozio e del nostro servizio nella definizione delle cause concernenti le «res spirituales et spiritualibus adnexae» ed in cui «inest ratio peccati» (can. 1401, nn. 1-2), ci sollecita a far tesoro delle Vostre ispirate parole sulla «straordinaria fruttuosità generata dall'incontro tra la santità oggettiva del ministero e quella soggettiva del ministro» che riscontriamo nella vita del Santo Curato d'Ars. Egli difatti - secondo l'evocazione di Vostra Santità - «iniziò subito quest'umile e paziente lavoro di armonizzazione tra la sua vita di ministro e la santità del ministero a lui affidato» (Benedetto XVI, Lettera per l'indizione di un Anno Sacerdotale in occasi one del 150° anniversario del «dies natalis» del Santo Curato d'Ars, LEV, Città del Vaticano 2009, p. 8). L'aspirazione a tale armonizzazione secondo il Vostro magistero, Santità - può far si che «non nasca un vuoto esistenziale in noi e non sia compromessa l'efficacia del nostro ministero» (ibid., p. 16) e che la nostra adesione alla Parola dia un'impronta alla nostra vita sacerdotale, formi il nostro pensiero ed illumini le nostre decisioni, specialmente nelle cause di nullità del matrimonio sacramentale, che assorbono in grande misura la nostra attività ecclesiale.
Nell'Enciclica Caritas in Veritate la Santità Vostra avverte tutto il popolo di Dio del pericolo per l'annuncio e la testimonianza cristiana, proveniente dalla diffusa tendenza «che relativizza la verità» (nn. 2; 4) e diffonde «una visione relativistica» della persona umana e della sua natura (n. 61), «nei contesti più esposti a tale pericolo», cioè «in ambito sociale, giuridico, culturale e politico» (n. 2). Infatti questa tendenza relativistica non di rado si insinua anche nelle dichiarazioni di nullità del matrimonio, le quali in tal modo subiscono uno sviamento, venendo tramutate «in una facile via per la soluzione dei matrimoni falliti» (Giovanni Paolo II, Allocuzione alla Rota Romana, 5 febbraio 1987, AAS 79 [1987], pp. 1458-1459, n. 9), svuotando cosi sia il senso della dichiarazione di nullità, sia il senso della stessa indissolubilità, e infrangendo il disegno «iniziale» al quale Gesù Cristo ha inteso «ricondurre perentoriamente chi scelga di essere suo discepolo». Pertanto, come «la via irrinunciabile per il risanamento in senso cristiano del matrimonio è di ribadirne l'indissolubilità e di richiamare il Vangelo » (I. Biffi, Nessuno è escluso dall'amore di Cristo, in L'Osservatore Romano, 29 maggio 2009, p. 6), cosi anche «le dichiarazioni di nullità del matrimonio per i motivi stabiliti dalle norme canoniche, specialmente per i difetti e i vizi del consenso (cann. 1095-1107), non possono contrastare con il principio dell'indissolubilità» (Giovanni Paolo II, Allocuzione alla Rota Romana, 21 gennaio 2000, AAS 92 [2000], p. 352, n. 4).
Beatissimo Padre! Ciascuno di noi Giudici sperimenta sovente la difficoltà di effettuare una giusta ed equa composizione tra le istanze legittime dei fedeli, che rivendicano i loro diritti presso il foro ecclesiale (can. 221, § 1), e la forza vincolante dei sacri canones che disciplinano le esigenze dello ius divinum positivum et naturale sull'istituto matrimoniale. Affidandoci alla luce dello Spirito Santo che invochiamo prima di ogni decisione giudiziale e alla protezione di Maria Santissima, Speculum Iustitiae et Mater Familiae, Vi chiediamo, Santità, di illuminarci con la Vostra augusta parola e di impartirci la Benedizione Apostolica per il nostro quotidiano impegno.