Raffaello Funghini
La questione della rilevanza in diritto canonico della incapacità relativa di assumere gli obblighi essenziali del matrimonio come elemento inducente la nullità del medesimo ha radici lontane.
Non nasce con la promulgazione del vigente Codice, ma la precede di circa un decennio.
Nella giurisprudenza rotale per la prima volta è affrontata in una Marianopolitana c. Raad del 14 aprile 1975.
La sentenza in oggetto è un vero trattato in materia: la sola parte in iure consta di ben 24 pagine!
La sentenza si avvale dell'occasione per sottoporre ad un meticoloso esame e serrata censura le decisioni emesse nella causa dai Tribunali inferiori e, allargando l'orizzonte, esamina l'atteggiamento in materia di molti Tribunali dell'America del Nord e dell'Australia, desumendone la dottrina da questi seguita e affermata dalla pubblicazione "Matrimonial Jurisprudence United States 1973" e dallo studio di M.J. Reinhardt - G.J. Arella, Essential incompatibility as grounds for nullity of mariage - The Catholic Lawer 16, 1970, pag. 173-187.
Il matrimonio nella causa c. Raad era stato accusato di nullità "per l'incapacità psichica della donna" o "per l'incapacità psichica di ambedue - "l'un vis-avis de l'autre" - di realizzare una vera relazione interpersonale".
In primo grado il Tribunale di Montréal rispose affermativamente ai due capi proposti: in grado di appello dichiarò non constare della nullità del matrimonio per l'incapacità relativa dei due, constare invece per l'incapacità psichica assoluta della donna.
Il D.V. interpose appello alla Rota "pro conscientia", diritto di appello riconosciuto nel Codice Piano-Benedettino (c. 1987), al tempo vigente, al Difensore del Vincolo dopo due decisioni conformi pro nullitate.
La decisione della Rota fu negativa. Contro di essa fu interposto appello, ma per inerzia delle parti, la causa il 10 giugno 1997 fu dichiarata deserta.
Detta sentenza da la nozione o definizione di incapacità relativa secondo i criteri dei Tribunali d'America e d'Australia: "Incapacità radicale di coniugi psichicamente sani, che, attese cogenti ed inemendabili loro predisposizioni, non possono soddisfare le loro essenziali obbligazioni coniugali per reciproca incompatibilità dell'uno verso l'altro, benché i medesimi con altro partner siano in grado di adempiere i detti obblighi".
Come si vede la sentenza c. Raad prende in esame la tesi dell'incapacità psichica relativa sotto il particolare aspetto di "essentiale incompatibilità", rilevando che accettando tale impostazione "qualunque motivo di qualsiasi genere che impedisce la compatibilità coniugale è in grado di invalidare il matrimonio".
Sottolinea che i Tribunali Americani, facendo proprio questo principio sono giunti a dichiarare la nullità del matrimonio "anche per incompatibilità religiosa, benché i coniugi fossero immuni da qualsiasi anomalia".
La sentenza riferisce un caso che prende dalla citata pubblicazione "Matrimonial Jurisprudence Unided States 1970): "L'attrice sostiene che non ci fu accordo circa la religione per quanto la riguardava al fine di salvaguardare il matrimonio. Il convenuto era stato educato come stretto osservante luterano. Egli aveva certe idee riguardo alla religione che non si potevano cambiare: per quanto si discutesse con lui non era possibile fargli cambiare le sue idee religiose".
La questione, nel caso, - continua la pubblicazione - non rientra nel campo del consenso matrimoniale o del difetto di debita discrezione, ma piuttosto riguarda la qualità della personalità delle due parti interessate.
E' comprovato e riconosciuto che queste due persone erano mature, responsabili, libere, profondamente innamorate e desiderose di sposarsi e di ottenere un esito favorevole del loro matrimonio.
Il problema sembra fosse un radicale difetto caratteriale che rese impossibile superare le loro divergenze su questioni religiose.
Decisione Ia instanza: Affermativa con dispensa dall'appello (pag. 33, 36)" (o.c. pag. 257).
Quando una "radicalis incompatibilitas" rende nullo il matrimonio? "Quando è costituzionale, matrimonium concomitans, insanabile o perpetua e di tale natura e gravità da rendere moralmente impossibile la traditio et acceptatio iuris ad actus coniugales o dello ius ad communionem vitae" (c. Raad, o.c. pag. 257. A pag. 256 di detta sentenza citazione in francese di queste quattro condizioni, riprese dalla pubblicazione Reinhardt - Arella).
Ma possono verificarsi queste quattro condizioni? Come si sono verificate - aggiungiamo noi - nel caso sopra riferito?
Siamo partiti da questa sentenza non solo perché è la prima che specificamente ed ampiamente affronta la questione dell'incapacità relativa, ma anche perché detta sentenza è indicata fra le "fonti del can. 1095, 3°. (Cfr. C.I.C. Fontibus adnotatione et indice analytico-alphabetico auctus, 1989, pag. 301).
L'anno seguente esce la Mutinen. del 9 luglio 1976 c. Serrano di diverso orientamento.
Anche questa è indicata come "fonte" del can. 1095, 3° (o.c. l.c.), e benché non così direttamente ed ampiamente come la c. Raad, affronti il problema.
Dalla necessità della capacità dei coniugi di stabilire una valida relazione interpersonale si pronuncia, come le seguenti sentenze c. Serrano in materia, a favore dell'incapacità relativa: "Consequens est - afferma, p.e. la Stoktonien. del 18 novembre 1977 - ut in debita aestimatione habeatur character "relativus" huiusmodi aptitudinis ad nuptias. Nequaquam ergo repugnaret quemquam loqui de peculiari incapacitate, qua duo singuli afficerentur ne validum coniugium ineant, etiamsi in dubium vocari possit eandem incapacitatem vigere erga hypotheticum aliud coniugium ab ulterutroque cum alia persona firmandum" (c. Serrano, Stoktonien., 18 novembre 1977, RR. Dec. LXIX, pag. 460, n. 9; Cfr. altre sentenze c. Serrano indicate nella c. Funghini, S. Jacobi in Chile, 23 iunii 1993, RR. Dec. vol. LXXXV, pag. 473, n. 5).
Un ulteriore passo fa Mons. Serrano nella relazione da lui tenuta al Convegno di Verona il 26 maggio 1992: "La perizia nelle cause canoniche di nullità matrimoniale", nella quale auspica un'evoluzione, recezione ed applicazione della dottrina dell'incapacità relativa - che egli preferisce chiamare "incapacità relazionale" - tanto da diventare dottrina comune: "Mi auguro che stia già avvenendo un prossimo passo: l'ammissione senza riserve di un'incapacità relativa comprensiva di molteplici risvolti, tra i quali è inclusa, forse come la dimensione matrimoniale più importante, l'incapacità "nel rapporto" e "al rapporto"" (Serrano, La perizia nella cause canoniche di nullità matrimoniale, in Perizie e periti nel processo matrimoniale canonico, Atti del Convegno di Verona a cura di S. Gherro e G. Zuanazzi).
A nessuno sfugge la diversa impostazione delle sentenze c. Serrano rispetto alle decisioni sopra riferite dei Tribunali dell'America del Nord e dell'Australia.
Egli infatti fonda la sua argomentazione su un'obbiettiva "peculiari incapacitate qua singuli afficerentur ne validum coniugium ineant"; i Tribunali Americani invece su di una "incapacitas radicalis coniugum physice sanorum adimplendi onera essentialia matrimonii ob incompatibilitatem essentialem unius erga alterum".
Nel ricordato Convegno di Verona in favore della sentenza di Mons. Serrano portò il suo contributo dal punto di vista psichiatrico il Prof. Gianfrancesco Zuanazzi, qualificato Perito nel Tribunale della Rota e docente presso lo Studio Rotale, che tra l'altro disse: "Qui però voglio dire qualcosa di più. Voglio dire che la patologia, magari modesta, di uno dei due coniugi può manifestare la propria virulenza in rapporto alle insufficienze personali dell'altro e a seconda dell'organizzazione del sistema diadico" ... "In certe situazioni si può configurare non già la difficoltà, ma l'impossibilità di una convivenza, quando la lieve patologia di uno dei due coniugi viene ingigantita e resa irrimediabile dall'insufficienza personale dell'altro, dal cattivo assortimento della coppia e dal conseguente perverso funzionamento del sistema" (G. Zuanazzi, Il dialogo fra canonisti e periti, in o.c., pag. 54-55).
Bene avvertendo di essersi avventurato in un terreno, se non minato, certo irto di difficoltà e facile oggetto di equivoci, il Prof. Zuanazzi aggiunge: "Sia ben chiaro che non intendo dire che il fallimento dell'unione coniugale è in sé stessa una prova dell'incapacità dei contraenti (cosa chiaramente e giustamente esclusa dal Sommo Pontefice). Stiamo infatti parlando di patologia, se pur lieve, di uno dei due coniugi (o di entrambi), esistente prima del matrimonio e che tuttavia una certa relazione di coppia è in grado di porre in evidenza, aggravandola" (ibid. pag. 55).
La precisazione, mentre da una parte ulteriormente illustra la posizione del Prof. Zuanazzi e cerca di delimitarne l'ambito, dall'altra, a nostro avviso, manifestamente dichiara che il criterio per stabilire l'incapacità, in casu, viene desunto non in modo precipuo e prevalente, ma esclusivo, dal naufragio della vita coniugale, causato da lievi carenze di ordine psichico di ambedue.
E così di fatto il naufragio o fallimento dell'unione coniugale non sarebbe "argumentum confirmatorium" dell'incapacità preesistente al matrimonio, ma essenzialmente "constitutivum" di questa.
Infatti il Prof. Zuanazzi ripetutamente parla di "patologia modesta", di "lieve patologia" di un coniuge, che la convivenza con l'altra parte aggraverebbe pur provenendo da una semplice "insufficienza personale dell'altro" che senza dubbio deve ritenersi lieve e di modesta entità prima del matrimonio
Nella fattispecie proposta inoltre i limiti tra l'asserita incapacità ("in certe situazioni si può configurare non già la difficoltà, ma l'impossibilità di una convivenza") e la semplice "incompatibilità" non sono affatto stabiliti, né è agevole, del resto, individuarli o porli.
Infatti il Prof. Zuanazzi molto correttamente nota: "Ci rendiamo ben conto che, nella pratica, non sarà agevole tracciare il confine tra le due situazioni; tuttavia, sul piano teoretico, esse vanno tenute rigorosamente distinte" (o.c., l.c.).
"Cum autem - notavamo nella citata sentenza S. Jacobi in Chile del 23 giugno 1993 - assertam incapacitatem nonnisi ex gravi et comprobata deficientia interpersonali, quae in matrimonio in facto esse praepediret possibilitatem adaequatae, consentaneae ac congruentis interpersonalis relationis, originem ducere necesse sit, neminem fugit quam perdifficile, ne dicamus impossibile, sit, etiam in re psychiatrica vel psychologica Perito, ambitum et gravitatem praeviae deficientiae constabilire et quam facile, e contra, sit meras indolis vitiositates utriusque, quae re dissociabilitatem ingenii ingravescentes arduum molestumque reddiderunt coniugale consortium, in incapacitatem vertere, praecisione facta ab alterutrius requisito statu vere morbido sive psychoseos sive constitutionis nerveae sive personalitatis" (c. Funghini, S. Jacobi in Chile 23 giugno 1993, o.c., pag. 474, n. 6).
Inoltre, atteso quanto aggiunge il Prof. Zuanazzi nella citata relazione di Verona, cioè "la vera incapacità relativa (posto che abbia rilevanza giuridica) va riferita, secondo me, non allo scontro di due caratteri opposti o comunque tra loro incompatibili, bensì ad un'anomalia o turba lieve della personalità di uno dei due coniugi, di per se stessa insufficiente a rendere il soggetto incapace di assumere gli obblighi coniugali essenziali, ma che viene potenziata e aggravata dalle disposizioni caratteriologiche dell'altro coniuge" (ibid. pag. 55), non bene è evidenziato né emerge come questa affermata incapacità possa qualificarsi prematrimoniale e come abbia potuto influire sul consenso.
I sostenitori della valenza dell'incapacità relativa generalmente si rifanno e citano la famosa sentenza Marianopolitana c. Annè del 25 febbraio 1969, nella quale si afferma categoricamente "consensum matrimonialem esse causam non tantum "matrimonii in fieri", sed etiam matrimonii "in facto esse", itaque in suis elementis essentialibus ut obiectum formale substantiale in matrimonio in fieri saltem implicite et mediate intendi debet" (c. Annè, Marianopolitana, 25 februarii 1969, RR. Dec. vol. LXI, pag. 183, n. 13).
Senza dubbio il matrimonio "in facto esse" è ed implica il "consortium totius vitae" e la "vitae communio vel consuetudo", ma queste non si effettuano dalla somma di due soggetti né esigono la loro perfetta integrazione.
La vita coniugale è vita di coppia, ma come sottolinea il Prof. Zuanazzi "la coppia non è mai la semplice somma di due entità che la compongono, ma è a sua volta un'entità viva e plastica, con una sua specifica dinamica" (Zuanazzi, o.c., pag. 54).
Ma la stessa sentenza c. Annè illustra il principio sopra richiamato ed, in un certo senso, lo circoscrive: "Profecto, in matrimonio "in facto esse" deficere potest communitas vitae, sed numquam deficere potest ius ad communionem vitae ... Vinculum ... unice constituitur summa relationum iuridicarum, ethicarum, socialium talium quales matrimonii propriae sunt et ab iisdem re non distinguitur ... Inter has relationes, aliae sunt essentiales ... aliae integrantes, quae quidem momentosae sunt ut matrimonium perfecte verificetur, at potius ad ordinem existentialem pertinent, uti amor et pietas et indolum crescens conviventia et harmonia" (ibid.).
Non è senza significato annotare che la citata sentenza c. Annè decise pro vinculo.
L'argomento base per coloro che difendono la valenza e la sufficienza dell'incapacità relativa a viziare il consenso è l'affermazione che il Vaticano II ha affermato e valorizzato la concezione personalistica del matrimonio.
L'affermazione è vera. La "Gaudium et Spes" accetta il fondamentale principio che il matrimonio è piuttosto una "traditio personarum" che semplicemente una "traditio iurium".
Sappiamo che la Commissione mista non accolse la proposta di 190 Padri Conciliari di sostituire l'espressione del n. 48 della "Gaudium et Spes" "ita actu humano, quo coniuges sese mutuo tradunt atque accipiunt" con la dizione del Codice Piano Benedettino "ita actu voluntatis legitime manifestato, quo utraque pars tradit et acceptat ius in corpus perpetuum et exclusivum" (Cfr. Fagiolo V., Essenza e fini del matrimonio secondo la Costituzione Pastorale Gaudium et Spes del Vaticano II, in L'amore coniugale, 1971, pag. 88-89).
Non è però assolutamente vero che tale concezione sia una novità del Concilio Vaticano II. La Casti Connubii indicava il matrimonio come "generosa propriae personae traditio" (AAS, 22, 1930, pag. 553).
E' anche vero che la stessa Humanae vitae riaffermò il concetto personalistico del matrimonio. Nota in proposito il Prof. Fedele: "E' vero che Paolo VI parlando a Castel Gandolfo dell'Humanae vitae, all'indomani di questa enciclica, dichiarò, tra l'altro di aver "volentieri seguito la concezione personalistica, propria della dottrina conciliare, circa la società coniugale" (Fedele P., Amor coniugalis e Humanae vitae, in Amore coniugale, pag. 225).
Nel discorso del 27 gennaio 1997 al Tribunale della Rota il S. Padre, premesso che "per affrontare in modo perspicuo ed equilibrato (la questione dei riflessi giuridici degli aspetti personalistici del matrimonio), occorre avere ben chiaro il principio che la valenza giuridica non si giustappone come un corpo estraneo alla realtà interpersonale del matrimonio, ma ne costituisce una dimensione veramente intrinseca" e che "l'aspetto personalistico del matrimonio comporta una visione integrale dell'uomo" afferma "Sarebbe ... fuorviante, nella trattazione delle cause matrimoniali, una concezione per così dire, troppo "idealizzata" del rapporto tra i coniugi, che spingesse ad interpretare come autentica incapacità ad assumere gli oneri del matrimonio la normale fatica che si può registrare nel cammino della coppia verso la piena e reciproca integrazione sentimentale" (Osservatore Romano, 27-28 gennaio 1997).
La concezione personalistica del matrimonio, quindi, deve aiutare per una più completa valutazione della validità o meno del matrimonio, ma non deve mai sovrapporsi al matrimonio come istituzione naturale e sacramentale.
L'altro argomento dei sostenitori della incapacità relativa è così formulato nella sopra citata sentenza c. Raad: "Non est natura quae nubet, sed Titius cum Caia, cum eorum indolibus, quae continere possunt incompatibilitatem essentialem. Haec incompatibilitas impedit quominus nupturientes mutuas obligationes adimpleant non alteruter seorsum, sed uterque insimul consideratus, unus erga alterum".
È pacifico che il Giudice deve esaminare "il matrimonio celebrato non tra due indistinti individui umani, ma concretamente fra questo Tizio e questa Caia e quindi si tratterà sempre di vedere nel singolo caso specifico la incapacità dell'uno o dell'altro coniuge od anche di entrambi" (Pompedda M.F., Studi di diritto matrimoniale, 1993, pag. 104).
"Tale principio, per sé giuridicamente corretto, - osserva S.E. il Card. Pompedda, - ma applicato con grossolana equivocità ... sembra trovare notevole e determinante appoggio nella problematica psicologica, che appunto ha sempre riguardo al rapporto interpersonale intercorrente fra due individui concretamente determinati: e lo psicologo, dinanzi al quesito che ponga in discussione la capacità ad instaurare un maturo rapporto umano da parte di un determinato individuo, sia nell'ambito ristretto della comunità coniugale sia in quello più largo del contesto sociale, fonderà sempre la propria osservazione e soprattutto la specifica conclusione tenendo conto dei due termini relativi, naturalmente in una sistematica fenomenologica che è propria a tale disciplina o scienza che dir si voglia" (Pompedda, o.c., pag. 104).
La struttura essenziale del matrimonio è una realtà in primis et ante omnia oggettiva: vincolo, proprietà, finalità, diritti, doveri.
Conseguentemente la misura, la proporzione e la correlazione della volontà non è relativa alla condizione soggettiva psicologica dell'altra parte, ma obiettiva alla struttura essenziale del matrimonio.
La capacità consensuale non è direttamente e principalmente commisurata alla capacità soggettiva dell'altra parte e la validità del matrimonio non è corrispettiva all'integrazione psicologica dei due contraenti che garantisca una felice convivenza per raggiunta o raggiungibile intesa psicologica, comunicazione o dialogo per conseguire comuni ideali e realizzare le finalità del matrimonio.
Come è noto una felice convivenza, per quanto auspicata da ambedue i contraenti, non è una finalità oggettiva di un matrimonio valido.
La capacità consensuale è essenzialmente capacità di autodeterminarsi liberamente e senza gravi condizionamenti psichici al matrimonio.
In quanto autosufficienza di determinazione libera e responsabile non può essere relativa, almeno nel significato che questa nozione ha nei confronti dell'impotenza.
L'aggettivazione appropriata, in materia di capacità consensuale, è sufficiente o insufficiente e conseguentemente efficace o inefficace.
Infatti, in ordine giuridico, se tale capacità è sufficiente eoipso è piena, valida, efficace; se insufficiente è per ciò stesso negata la capacità e dichiarata inoperante e quindi inefficace.
Il consenso non ammette, dal punto di vista giuridico, come la responsabilità o imputabilità, una gradualità o un'autodeterminazione relativa. O c'è ed è sufficiente, valido, operativo; o non c'è.
Il criterio di valutazione per affermare la sufficienza o insufficienza non può essere che oggettivo: diritti e doveri essenziali del matrimonio.
Un criterio soggettivo o relativo può affermarsi solo nella motivazione del consenso, in persone per sé capaci di sufficiente, valido, efficace consenso. Un contraente o ambedue possono escludere, per es. la indissolubilità del vincolo, di cui sono capaci, per le deficienze dell'altra parte, cioè per le non sufficienti garanzie che questi offre (per mentalità, vita precedenti, incostanza, ecc.) per la permanenza assoluta del vincolo matrimoniale. O possono per patto o condizione escludere le proprietà o la finalità della prole; ma ciò però riguarda la motivazione o causale della riserva.
Senza dire che per difendere l'incapacità relativa si dà un'interpretazione, se non equivoca, quanto meno riduttiva alla parola ‘assumere'.
Questa infatti è circoscritta al significato esclusivo di "adempiere" evitando il rigore del requisito dell'antecedenza della perturbazione psichica o almeno della presenza al momento del consenso.
Che tale interpretazione non sia stata quella dei Codificatori sembra evidente dal fatto che, se è vero, come scrive il Prof. Bonet "il Codificatore canonico, con la prescrizione del can. 1095, 3°, ha valorizzato la creatività giurisprudenziale più genuina, consacrando normativamente una prassi giudiziaria che si era venuta sempre più imponendo" (P.A. Bonet, L'incapacità agli oneri matrimoniali, in L'Incapacitas (can. 1095) nelle sententiae selectae c. Pinto, 1988, pag. 31), quanto all'incapacità, della formula comune alla giurisprudenza rotale immediatamente precodiciale "incapacitas assumendi et adimplendi obligationes essentiales matrimonii" ratificarono solo la "incapacitas assumendi".
Un ultimo argomento che viene portato a sostegno dell'incapacità relativa è l'analogia con l'impotenza, per la quale è comunemente e pacificamente riconosciuta invalidante anche quella relativa.
Ma l'analogia non regge. Anzi riteniamo con il Prof. Pedro Julian Viladrich che questa invocata analogia è all'origine di un equivoco, dovuto alla trasposizione metodologicamente indebita delle categorie dell'impotenza al capitolo dell'incapacità. (Cfr. P.J. Viladrich, Del consentimiento matrimonial, in Commentario exegético de derecho canonico, vol. III, 1966, pag. 1238).
"Nel caso dell'impotenza - scrivevamo nella citata sentenza S. Jacobi in Chile del 23 giugno 1993 - si richiede la capacità di porre l'atto coniugale simultaneamente e con reciproca cooperazione dei due coniugi. L'atto sessuale infatti deve compiersi da ambedue nello stesso momento e con la rispettiva cooperazione ed il medesimo è impedito dal difetto funzionale, anche non grave di uno, cui si aggiunga il difetto dell'altro. E così un difetto non assolutamente grave dell'uno e dell'altro coniuge può divenire grave venendo a mancare la mutua necessaria cooperazione a causa di un difetto di ambedue". Senza dire che, secondo i principi generali del diritto canonico, l'applicazione analogica è proibita riguardo alle leggi, che "liberum iurium exercitium coarctant", come nel caso nostro il diritto di celebrare il matrimonio ed il suo esercizio, trattandosi di leggi sottoposte a stretta interpretazione (c. 18) (Cfr. Stankiewicz, Bononien., 27 iulii 1997 - n. 11).
La specificità del consenso matrimoniale, al contrario, è di essere un atto interno di ciascun contraente, espressione della facoltà intellettiva e non un'azione fisica necessitante della cooperazione dell'altro contraente.
E' un atto strettamente singolare e personalissimo.
Al momento della celebrazione del matrimonio e più specificamente alla manifestazione del consenso si esternano due atti di volontà, che convengono nel costituire il "patto matrimoniale con cui l'uomo e la donna stabiliscono tra loro la comunità di tutta la vita, per sua natura ordinata al bene dei coniugi e alla generazione e educazione della prole, tra i battezzati è stato elevato da Cristo Signore alla dignità di sacramento".
Ogni atto dei contraenti è singolare, autonomo e per essere efficace deve essere "sufficiente", cioè non viziato né quanto alla capacità intellettiva né quanto a quella volitiva.
Se è sufficiente è "pieno", valido e capace di assumere gli essenziali oneri derivanti dall'oggetto di questo consenso; se è insufficiente eo ipso è viziato e inefficace.
Per essere viziato infatti il consenso matrimoniale espresso, basta che lo sia da parte di un solo contraente indipendentemente dall'altro.
Qualora si dovesse ammettere la incapacità relativa, cioè se ad extremum affermare la capacitas contrahendi dovesse dipendere da una compatibilità dei due termini relativi, cioè i nubenti "dovremmo anche dichiarare capaci - osserva acutamente per absurdum S.E. il Card. Pompedda - due contraenti i quali dessero inizio ad una unione aberrante e sostanzialmente in contrasto con i principi fondamentali del connubio (e ciò non solo in senso cristiano) ma insieme con piena reciproca compiacenza e soddisfazione.
Cioè una grave anomalia psicologica, specificatamente sul piano sessuale, ma comune ad entrambi i contraenti, potrebbe spingere questi ad una unione in cui fossero fondamentalmente rigettati i principi etico-giuridici del connubio ma nel contempo, per tale convergenza di intenti e prima ancora di forma mentale, ad una comunità di vita soggettivamente soddisfacente. E probabilmente lo psicologo, non rispettoso dei postulati dell'etica naturale e della sana antropologia, almeno quale è assunta dalla dottrina cristiana, nulla avrebbe da biasimare su siffatta unione che potrebbe giudicare del tutto normale e psicologicamente matura" (Pompedda M.F., o.c. pag. 106).
La giurisprudenza rotale, sive recentior sive recentissima,"eccezione fatta per qualche singola sentenza dinanzi al medesimo Turno" (Pompedda M.F., o.c. pag. 325) riconosce rilevanza giuridica alla sola incapacità assoluta (Cfr. elenco sentenze nella citata sentenza c. Funghini, S. Jacobi in Chile 25 iulii 1993, RR Dec., vol. LXXXV, pag. 476, n. 8) e nella c. Burke, Camden., 27 octobris 1994, RR. Dec. vol. LXXXVI, pag. 522, n. 22, c. Jarawan, Tarvisina, 4 octobris 1995, o.c. vol. LXXXVII, pag. 536, n. 3).
Non manca di notare la giurisprudenza, che anche ammettendo "quoddam dubium iuris... exstante difformitate hodiernae doctrinae canonicae" la giurisprudenza rotale "communis iam dici debet doctrina denegans sufficientiam incapacitatis relativae" (c. Pompedda, Anconitana-Auximana, 15 iulii 1994, o.c. vol. 86, pag. 397, n. 12).
Inoltre la giurisprudenza non manca di sottolineare l'equivocità dell'espressione "incapacità relativa" atteso che, come osserva la c. Burke, Peorien. 20 octobris 1994: "incapacitas pro consensu matrimoniali semper relativa est, cum praeciso respectu essentiae coniugii qua talis (ac exinde respectu concreti matrimonii sub Iudice). Pertanto "Nullo modo sustineri potest hypothesis "incapacitatis relativae", ubi relativitas ponitur non quoad officia coniugalia in seipsis considerata, sed quoad concretam personam electam uti sponsum, cum respectu sive ad interactionem inter peculiariter uniuscuiusque ex singulis personis in coniugio unitis, sive ad tensiones forte eventuras, quas occursus utriusque creare potest".
Parimenti la c. Di Felice del 12 novembre 1977, nota che l'incapacità può dirsi relativa soltanto riguardo all'oggetto, non riguardo la persona dell'altro contraente: "Relativus est consensus in obiecto, non in subiecto" (c. Di Felice, Ruremunden. 12 novembris 1977, RR. Dec. vol. LXIX, pag. 453) ... "Nisi incapacitas relativa illa ita intelligatur, iudicium de eandem penderet semper ex experientia convictus coniugalis: et quodlibet matrimonium semper contraheretur suspensa validitate usque ad firmatam communionem coniugum: quod absurdum quid inducit in ratione iudiciali, omnino illicitum in ratione morali, funditus contrarium ipsi notioni de matrimonio quod exurgit momento eliciti consensus" (ibid.).
Non omette, infine, la absolute praevalens giurisprudenza rotale di sottolineare che la dottrina che fa perno sul concetto del matrimonio come relazione interpersonale ed esistenziale, ha come fondamento una comprensione troppo idealizzata del matrimonio e, se non esclusivamente, certamente prevalentemente, circoscritta al vissuto dei contraenti.
Ciò considerato, riduttiva, sembra l'affermazione della c. Civili, Veronen. 19 iunii 1996 (inedita) "Quod incapacitas esse debeat absoluta vel esse etiam relativa, quaestio est adhuc controversa" senza alcun riferimento alla assolutamente prevalente orientamento e pronunciamento della giurisprudenza rotale, dimenticando l'importanza e la funzione di questa secondo l'art. 126 della "Pastor Bonus" di provvedere cioè all'unità della giurisprudenza ecclesiastica e di essere, con le sue decisioni, di aiuto ai Tribunali di grado inferiore.
Avviandoci alla conclusione ci sembra dover confermare, per una retta soluzione della questione, quanto da noi scritto nella citata sentenza S. Jacobi in Chile del 25 giugno 1993 e porre i seguenti punti fermi:
Ciascun contraente deve essere affetto da propria incapacità al momento del consenso indipendentemente dall'altro.
L'incapacità non è la somma di lievi patologie dei due contraenti.
Secondo il n. 3° del can. 1095 l'incapacità originata da cause di natura psichica deve essere erga obligationes essentiales matrimonii, non erga personam alterius coniugis.
Il criterio di incapacità deve desumersi esclusivamente da un perturbato stato psichico prematrimoniale dell'uno o dell'altro contraente o di ambedue.
Dalla vita comune postmatrimoniale si può desumere solo argomento confirmatorio della perturbazione o anomalia psichica prematrimoniale e della sua gravità, minimamente può desumersi argomento constitutivo probatorio.
Si deve sempre tener presente la differenza tra matrimonio ab initio nullo e matrimonio inopportuno ed infelice convivenza coniugale cattivo assortimento della coppia.
Concludiamo con questi "punti fermi" perché a distanza di quasi otto anni da questa sentenza, non solo nella giurisprudenza rotale, ma anche nelle varie pubblicazioni recenti in materia non abbiamo trovato contestazione o confutazione dei medesimi.¿
Palestra proferida em setembro de 2001 na Pontifícia Universidade «della Santa Croce», Roma.
"Incapacitas radicalis coniugum psychice sanorum, datis eorum personalitatis dispositionibus cogentibus et inemendabilibus, adimplendi onera essentialia matrimonii, ob incompatibilitatem unius erga alterum, etsi cum alia comparte unusquisque eadem adimplere valet" (c. Raad, Marianopolitana, 14 aprilis 1975, RR. Dec. vol. LXVII, pag. 255).
"essentialis incompatibilitas" (o.c. pag. 260).
"quaecumque ratio cuiusvis generis quae "compatibilitatem coniugalem" impedit, matrimonium invalidare valet" (o.c. pag. 256).
"etiam ob ‘incompatibilitatem religiosam' etiamsi coniuges anomaliam non habeant".
"Ut matrimonium invalidet s.d. incompatibilitas essentialis debet esse, constitutionalis, matrimonium concomitans, insanabilis seu perpetua, deditionem iuris ad actus coniugales vel iuris ad communionem vitae moraliter impossibilem efficiens".
"possunt-ne si domanda la sentenza rotale verificari hae quattuor conditiones a propugnatoribus positae".
"Illo in agro (impotentiae) ‑ scrivevamo in una S. Jacobi de Chile del 23 giugno 1993 ‑ requiritur potentia vel capacitas determinatum actum ponendi simultanee et mutua cooperatione. Sexualis actus enim una simul eodemque tempore ab utroque coniuge pro sua cuiusque parte est ponendus et idem vulneratur vel impeditur ex defectu funtionali unius, etsi in se non gravi, cui accedat carentia alterius et non absolute gravis defectus utriusque coniugis, gravis fieri potest deficiente cooperatione ob defectum utriusque".
"matrimoniale foedus, quo vir et mulier inter se totius vitae consortium constituunt, indole sua naturali ad bonum coniugum atque ad prolis generationem et eductaionem ordinatum, a Christo Domino ad sacramenti dignitatem inter baptizatos evectum" (can. 1055, § 1).
"Unaquaeque pars propria incapacitate laborare debet momento celebrationis matrimonii independenter ab altera. Incapacitas non est summa levium pathologiarum duorum contrahentium. E tenore canonis incapacitas esse debet erga obligationes essentiales matrimonii et quidem originem ducens e causis naturae psychicae, non vero erga personam alterius coniugis. Criterium incapacitatis desumendum est exclusive e perturbato statu psychico prematrimoniali alterutrius vel utriusque contrahentis. E vita communi coniugali desumi potest dumtaxat argumentum confirmatorium perturbationis vel anomaliae psychicae praematrimonialis eiusque gravitatis, non vero constitutivum. Bene percipienda est et affirmanda distinctio inter matrimonium ab initio nullum et mere incongruum coniugium infelicemque conviventiam. "Methodologice impropria apparet formula "capacitatis ad relationem interpersonale", quae fieri deberet "praevia conditio" capacitatis consentiendi in matrimonium quia ... huiuscemodi mensura praeviae capacitatis admissa, consequenter requireretur in nupturiente aptitudo ad matrimonium poligamicum vel monogamicum, quae tamen sua ex parte praeiudicaret capacitati assumendi obligationem fidelitatis coniugalis" (c. Stankieiwcz, Leodien., 24 ottobre 1985, RR. Dec. vol. LXXVII, pag. 450, n. 9)".