DANIELF ALTIN

Prelato Uditore della Rota Romana

IL CONSENSO MATRIMONIALE: INCAPACITÀ.

 

Secondo il can. 818 del CCEO, che corrisponde al cano 1095 del CIC, e non poteva essere diversamente, in quanto l'incapacità edi diritto naturale, sono incapaci di celebrare il matrimonio: 1°) coloro che mancano di sufficiente uso della ragione; - 2°) coloro che difettano gravemente di giudizio circa i diritti e i doveri matrimoniali essenziali da dare e da accettare reciprocamente; - 3°) colo- ro che, per cause di natura psichica, non possono assumere gli obblighi essenziali del matrimonio.

Questo canone non trova riscontro nella precedente legislazione canonica orientale del M.P. «Crebrae allatae» sul matrimonio.

Nel citato canone vengono prospettate tre diverse specie di incapacità, le cui radici risiedono nella psiche umana, di emettere il valido consenso matrimoniale.

La prima consiste nella mancanza di sufficiente uso della ragione. Essa evi- dentemente comprende le varie forme di vere e proprie malattie mentali, come e, per es., l'amentia, ed, inoltre, le turbative transitorie che tolgono l'uso della ragione, ad esempio l'ubriachezza cronica, l'uso di droghe o qualsiasi turbamento. Qui non si tratta soltanto di coloro che sono privi totalmente dell 'uso della ragione, ma anche di coloro che ne sono privi in grado tale da rendere il consenso inadeguato in rapporto alla gravità del negozio giuridico specifico, cioe del matrimonio.

La seconda specie di incapacità fa riferimento al grave difetto di discrezione di giudizio, in quanto per Ia validità deI consenso non esufficiente il semplice uso della ragione, ma si richiede che i nubendi siano in possesso della discrezione di giudizio proporzionata al matrimonio nel momento della sua costituzione, ossia «in fieri».

La discretio iudicii, secondo la dottrina tomistica, richiede due elemen- ti, cioe l'elemento intellettivo e quello volitivo, «nam nihil volitum nisi praecognitum». `E da precisare, peró, che non si richiede una conoscenza perfetta degli obblighi essenziali inerenti alio stato matrimoniale, né un perfetto equilibrio volitivo e neppure una maturità di giudizio perfetta di quanto implica tutta la vita coniugale nel suo complesso. Non si puo, pero, prescindere da quel minimo di discernimento e di libera scelta che rende capace la persona di 'dare e di accettare' i diritti e gli obblighi essenziali che scaturiscono dal patto matrimonia- le. Né si puó prescindere dalla presenza di un altro elemento, e cioe che il difetto di discrezione di giudizio sia grave circa i diritti e i doveri specificamente matri- rnoniali essenziali.

In questa prospettiva  si colloca e si amplia   il concetto del defectus discretionis iudicii nella ormai consolidata giurisprudenza rotale, affermatasi maggior- mente negli anni '60.

A tale proposito, mi sia consenti to di richiamarmi - per tutte, per ragioni di brevità della esposizione - alla sentenza c. Ecc.mo Decano Ernesto Maria Fiore, deI 30 maggio 1987, nella quale viene esplicitato con magistrale chiarezza il rap- porto esistente tra Ia «cognitio», Ia «aestimatio» e Ia «electio».

Nella citata sentenza si osserva, anzitutto, che il cano 1096 § 1 «scientiam minimam requisitam in nupturientibus deterrninat» e si avverte subito che da questa cognizione non si puó esc1udere quanto si stabilisce per «definitionem ve- luti indirecte traditam in cano 1055 § 1 quidem complendo per § 2 eiusdem canonis et cano 1056».

Nella detta sentenza si osserva, inoltre, che Ia «aestimatio»,        che e «... acies intellectus aestimativa ... necessario apta sit oportet seu commensuretur cum mo- mento obiecti, in specie cum valore exisistentiali matrimonii».

Quindi Ia «electio», «quatenus dicit ponderationem seu aestimationem obiecti cogniti, necessario, si rationalis sit, subaudit existimationem et operatio- nem motivorum quae sane, seposito influxu specifico in voluntatem, non- numquam valent ita et non aliter obiectum exhibere intellectui, obscurare vel col- lustrare idem obiectum, avertere vel urgere attentionem cognitivam. Aliis verbis, haberi possunt peculiares conditiones aut, si vis, psychicae anomaliae quae, ante- quam in voluntatem ut idipsum a recta notione re detorquatur».

Aggiunge, poi, che «psychologi nostrae aetatis de temperationibus seu mo- derationibus (vulgo 'condizionamenti') loquuntur, quae liberum exercitium Ia- cultatis afficiunt adeo ut nonnumquam et ipsa libertas auferatur ... Utcumque ius canonicum ... nequit praetermittere altissima principia sanae et christianae anthropologiae».

lnfine, einteressante rilevare quanto a proposito scrive il C. CAFFARRA: «L'uorno o ecapace ... o non ecapace di trascendere se stesso ... Se 10 spirito e costituzionalmente incapace di trascendere se stesso, la volontà       di compiere questo trascendimento euna pura illusione».

La terza forma di incapacità, prospettata nel citato cano 818 del CCEO, ri- guarda il soggetto. La valutazione deve vertere circa Ia sua capacità o meno di assumere e/o adempiere gli obblighi essenziali del matrimonio, non già sotto! 'aspetto contrattuaiistico , ma piuttosto in vista del «consortium totius vitae», cioe «in facto esse», per sua indole naturale ordinato al bene dei coniugi e alla procreazione ed educazione della prole (Cf. can. 776 CCEO).

Stando alla dizione della norma canonica, questa incapacità deve essere «di natura psichica», che non si identifica con una specifica malattia mentale e neppure con il grave difetto di discrezione di giudizio.

In effetti, una persona puó essere in possesso dell'uso della ragione ed avere anche Ia necessaria discrezione di giudizio, tuttavia puó essere incapace di assumere gli obblighi essenziali del matrimonio, per la sua condizione psichica, e di adempierli.

Giustamente questa viene definita da P. NAVARRETE,in modo espressivo e quasi lapidario, come incapacità di «stare promissis».

Eovvio che questa incapacità deve essere presente già aI momento della cele- brazione delle nozze.

Certamente      spetterà alla giurisprudenza    canonica orientale determinare quali siano le persone incapaci «per cause di natura psichica» di integrarsi in ma- niera stabile in un rapporto interpersonale duraturo, quale eil matrimonio, te- nendo conto dei luoghi e dei tempi in cui i fatti sono avvenuti, cioe calandosi nelle profondità della vita quotidiana, degli usi e costumi delle gemi e dei popoli diversi per cultura, educazione, condizione socio-culturale, ecc ...

Comunque ed in ogni caso, al di là di ogni considerazione, appare chiar o che, come esempio concreto di questa incapacità, essa va individuata nelle diverse forme di anomalie di carattere endogeno od esogeno psicosessuale, ad esempio l'omosessualità, Ia ninfomania,      il sadismo, il masochismo, l'anormalità costitu- tiva di natura sessuale, Ia immoralità costituzionale dell'individuo ed altri distur- bi psichici, che rendono Ia persona incapace di assumere I' obbligo dell'indissolu- bilità e della fedeItà coniugale.

Dalla legge non erichiesto che tale incapacità sia di natura insanabile. Giuridicamente erilevante soltanto la sua gravità esistente al momento della celebrazione del matrimonio che, pertanto, rende il «consortium totius vitae» non solo difficile, ma impossibile, secondo il Magistero della Chiesa e Ia sana antropologia cristiana.

Le Chies e ortodosse certamente non potranno prescindere da questi principi dottrinali, perché sono radicati nel diritto naturale. Dette Chiese per risolvere i casi matrimoniali di questo tipo piú o meno si appellano alla legislazione civile dei rispettivi Paesi.


Cf. M.F. POMPEDDA, Il consenso ... , in: Dilexil Justitiam, 1984,3-16.

Cf. C.GULLO, Defectus usus rationis et discretionis iudicii, in L 'incapacitas (can. 1095) nelle sentenze selectae c. Pinto, Studi giuridici XV, ed. Lev., a. 1988, pp. 19-20.

Cf. in Quaderni, II, pp. 14-17, nn. 7-12.

Cf. C. CAFFARRA, Matrimonio e visione dell'uomo, in Quaderni ... lI, Roma 1987, p. 40.

Cf. U. NA VARRETE, Incapacitas assumendi onera uti caput autonomum nullitatis matrimonii, in Periodica 6, 1972,47-80; A. STANKIEWICZ, L'incapacità psichica nel matrimonio, in EIC 36, 1980,234-261.

Cf. A.R.R.T. dec., in una Chilaven., c. FALTIN, d. 26 maggio 1989, nn, 4-7, in Dir. Eccl. 1991, n, p. 177.